Nella mia vita ho praticato solo due sport: basket e calcio, lasciati entrambi per intraprendere un percorso più autonomo in palestra. Non saprei dire quale mi piaccia di più: il basket sicuramente mi ha accompagnato per più anni, e ha costruito molte delle amicizie che ho ancora oggi, grazie ad un gruppo unito e maturo; non si può dire lo stesso della mia esperienza calcistica: non mi trovai bene nel gruppo, e mi dispiace un sacco aver dovuto lasciare per questo motivo uno sport le cui dinamiche e situazioni mi erano più gradite rispetto a quelle del basket.
Sembrerebbe che il basket abbia vita facile in questa “sfida”, ma il calcio ha il suo asso nella manica: il tifo.
Sono stato sempre un grandissimo amante del calcio in televisione, di ogni campionato e nazione. Questa mia passione nacque nel 2012, quando mio padre mi invitò a guardare Fiorentina-Inter di un pomeriggio primaverile. E fu proprio lui che mi trasmise la passione anche per la mia squadra del cuore:
l’Inter. Nell’Inter di quegli anni le cose non andavano molto bene: rosa non all’altezza, risultati scadenti, umiliazioni continue. Sembrava essere rimasto poco o niente della famosissima Inter del Triplete di due anni prima (che non ho avuto la fortuna di tifare), ma invece no, qualcosa era rimasto, e aveva un quattro nel retro della maglia e una fascia da capitano sulla spalla: era proprio lui, Javier Zanetti, il mitico capitano dell’Inter, che stava per concludere una leggendaria carriera da giocatore nel club dove aveva vinto tutto, e che è il protagonista di questa storia.
La carriera calcistica di Zanetti iniziò non in Italia, bensì in Argentina, il suo paese natale, prima al Talleres e poi al Banfield. Nel 1995 approdò a Milano, dove restò per 19 anni. Quattro coppe Italia, quattro supercoppe italiane, cinque campionati italiani, una coppa UEFA, una Champions League e una Mondiale per Club. Questi sono i trofei vinti da Zanetti in questi anni, ottenuti insieme a grandi giocatori come Ronaldo “o Fenomeno”, Christian Vieri, Diego Milito, Zlatan Ibrahimovic, Samuel Eto’o, Nicola Berti, e sotto grandi allenatori come Roberto Mancini, José Mourinho e Marcello Lippi. Ha giocato come esterno, sia di difesa che a centrocampo, e ottenne la fascia da capitano per la prima volta nell’ottobre del 1998 e divenne capitano ufficiale dal 2001. La carriera e la storia di questo grande campione non mi erano note le prime volte che ebbi la fortuna di guardarlo in TV, ma rimasi così affascinato da lui che negli anni successivi attraverso libri, racconti e a Internet riuscii a ricostruire la sua carriera e a capire perché era così amato da tutti.

Era un giocatore fortissimo, di grande qualità, ma era soprattutto una grande persona. Giocatori come lui se ne trovano veramente pochi: uomini che hanno deciso di amare alla follia una maglia, una città, dei colori, guidati dalla sana passione e dall’amore per uno sport e rinunciando all’elemento che purtroppo
lo finisce quasi sempre per rovinare: i soldi. Oggi quasi è una moda cambiare squadra, per ottenere stipendi più alti, e sono pochi i giocatori che hanno questo attaccamento alla maglia, che va oltre a
tutto. Per questo Zanetti meritava di essere il capitano dell’Inter, perché era IL Capitano: campione dentro e fuori dal campo, sempre umile in ogni situazione, ma determinato e capace di infondere alla squadra forza e coraggio; si sacrificava sempre per la squadra e dalla sua bocca non è mai uscita una parola contro l’allenatore, la società o i compagni, fatto che dimostrava ancora una volta il grande rispetto per tutti e l’accettazione di una sconfitta.
Perché proprio dalle sconfitte dei campioni nasce la loro grandezza: Zanetti ha attraversato periodi non semplici: i primi anni duemila, in particolare una data, il 5 maggio 2002, in cui l’Inter perse all’ultima giornata il campionato perdendo 4 a 2 contro la Lazio. Lo stesso giorno della disfatta di Napoleone
avvenuta secoli prima, una sconfitta forse ancora più bruciante. Così come l’eliminazione da parte del Milan nella semifinale di Champions del 2003, in cui l’Inter fu condannata da 2 pareggi, per colpa della regola del gol in trasferta. Non dimentichiamo però dove siamo partiti, ovvero dell’Inter post-Triplete, di cui Zanetti rappresentava uno degli ultimi baluardi. Nel 2014 si ritirò, dopo un Inter-Lazio vinta 4 a 1 dai nerazzurri. Tutti aspettavano la vittoria dell’Inter, ma quel giorno aspettavano ancora di più il saluto finale di uno tra i giocatori più forti della storia del calcio. Ma nel cuore di tutti i tifosi è rimasto soprattutto l’amore che questo giocatore ha provato per la squadra e la passione che è riuscito a trasmettere.
Tanti giocatori fortissimi sono passati all’Inter, ma pochi meritano di essere ricordati in questo modo, perché il cuore dei tifosi si conquista così, con le emozioni e la sana passione per il calcio, più che con le prestazioni in campo. Passeranno gli anni e i giocatori, arriveranno sconfitte e vittorie, delusioni e gioie, ma fino a quando questo sport avrà il suo da dire nella storia di questo universo, un grido dalla curva si alzerà, e tutte le generazioni canteranno: “Di capitano ce n’è uno solo!”, in memoria di un uomo, prima che calciatore, la cui storia è e rimarrà indelebile.

Leonardo Lodola
4 A Scientifico