Il rumore dei miei passi era sempre più solitario, sempre più forte nel silenzio. Il fiato mi usciva in lenti sospiri, di quelli che farebbero addormentare anche un drago furioso. “Adesso mi fermo e torno indietro, lo giuro. Lo giuro, adesso lo faccio. Sì, adesso basta: mi giro e vado a vedere se Roan e Grimby stanno bene.” 

Ma anche il vento mi spingeva in direzione del ruscello, anche il vento mi sussurrava di sparire nel bosco e non farmi più trovare da nessuno. Avevo qualcosa che mi stringeva il cuore, una corazza di ferro che si rimpiccioliva ogni secondo e mi soffocava: se fossi tornato a casa, me l’avrebbe spremuto fino a farlo esplodere in mille schizzi. Quella casa, già. Quella casa disgustosa. Non volevo mica vomitare, io. Proseguii fino a che la città non diventò solo una macchia lontana. 

Adesso il bianco del terreno era interrotto solo dalle radici di qualche albero sparso qua e là, e il ruscello scorreva davanti a me come un fiume d’oro sbiadito, riflettendo le sfumature del cielo. 

Alzai lo sguardo, e il mio cuore mancò un colpo: poco distante c’era una casa grandissima, con un porticato, un giardino con varie panchine e un tavolino, una bella staccionata di legno tutt’intorno e altre cose da ricconi. Cose da sporchi palloni gonfiati che si arricchivano grazie al lavoro altrui. 

Tirai un calcio a un rametto che mi aveva intralciato la strada. “Dovrei andare là e sfondarla con le mie mani, dannazione!” 

Quella era la casa del nostro adorabile sindaco, un corrotto che aveva rovinato la vita a tutti gli abitanti della sua città. Erano passati quattro anni, ma ancora i miei nervi si tendevano come fionde pronte a colpire, se ripensavo a quel giorno. 

La folla si era radunata di fronte al suo recinto, ed era un’esplosione di voci agitate. Il sindaco ci fece segno di stare zitti e iniziò a gesticolare, forse per dare enfasi alle sue parole, mentre il suo sguardo scivolava da una persona all’altra. 

Buongiorno a tutti, signori e signore. Oggi volevo rendervi partecipi di una meravigliosa offerta che ho avuto l’onore di ricevere dai medici delle città al di là delle colline. Vi assicuro che non rimarrete delusi. Prego, prego, dottoressa Asteria: venga a spiegare ai cittadini la sua straordinaria scoperta scientifica. 

Una donna salì sul palco allestito per l’occasione, e avanzò fino a raggiungere il centro. Teneva il mento sollevato. I lineamenti del suo viso erano aguzzi, la pelle bianchissima e gli occhi di un azzurro ghiacciato. – Grazie, sindaco. – Gli rivolse un’occhiata rapida, poi tornò a fissare un punto nella folla. – Salve a tutti. Sono felice di questa opportunità, perché sarebbe un vero peccato se non potessi condividere la mia invenzione con più persone possibili.  

Il sindaco sorrise e raddrizzò la schiena fino a gonfiare il petto. Sembrava un pulcino che si era abbuffato di mangime. Io e il nonno ci scambiammo un’occhiata d’intesa e ci mettemmo a ridere. La mamma agitò la testa con disappunto e mi fece segno di stare zitto. Ma avevo dodici anni, io: ero abbastanza grande per decidere da solo se parlare o no. 

Ebbene, cominciamo. Come voi ben sapete, la vostra vita è collegata alle abitazioni di cera  ed esse si sciolgono a causa del fuoco degli dei, che allo stesso tempo anima i vostri cuori di emozioni e sentimenti. Ma questo vi porta alla morte. 

Diedi una gomitata al nonno. – Perché parla solo di noi? E lei? Non è umana? 

Lui mi fece l’occhiolino. – Anche secondo me è un’aliena. 

Ma ebbi un brivido. Il punto che fissava quella donna, con le mani lungo i fianchi, rigide come paletti, era nella mia direzione. Anzi, ero proprio io. I suoi occhi mi premevano addosso, ed erano così freddi che minacciavano di spegnere il fuocherello che mi scoppiettava dentro. 

Ma a nessuno piace invecchiare, a nessuno piace morire lentamente per la fatica e il peso dei sentimenti, il peso della preoccupazione, del dispiacere. A nessuno di voi piace essere corrosi, distrutti, divorati da quelli che chiamate “Dei”. Forse non ammetterete subito la verità, ma pensateci bene: nessuno di voi crede davvero in loro, nessuno di voi li ammira per il dolore a cui vi sottopongono, e nessuno di voi sopporta più di tirare avanti a stento per i debiti e la povertà. 

– E come fa lei a saperlo? – mormorò il nonno tra i denti. All’improvviso era diventato molto rigido. 

I debiti ce li abbiamo per le tasse esagerate che ci impone questo sporco avido del sindaco! – gridò una voce nella folla, alzando un pugno in aria. 

Il sindaco si aggrappò alla stoffa dei suoi pantaloni e diventò tutto rosso. – Non è vero, è colpa della scarsa produzione delle api e di una serie di fattori esterni che non sto qui a elencare. Ho alzato le tasse solo un poco, giusto per finanziare la magnifica idea della dottoressa. Ma state calmi, cari cittadini, e aspettate di sentire per intero il discorso di Asteria. 

Le lanciò uno sguardo severo: aveva toccato un punto dolente del suo rapporto con i cittadini. 

Ma esiste una soluzione a tutto questo, esiste una soluzione per tenere lontano il logoramento degli Dei su di voi, per controllarli, per impedire loro di entrare nelle vostre anime. Basta bere questo! 

La donna sollevò in aria un piccolo boccettino, che teneva incastrato tra il pollice e l’indice. Un oggettino così piccolo non poteva contenere tutta quella potenza! Si levò un’onda di bisbigli tra gli abitanti, e ogni tanto qualche voce più squillante delle altre dominava i mormorii con il suo tono agitato. 

Incrociai lo sguardo del nonno: i suoi occhi erano attraversati da piccoli lampi, mentre stringeva con più forza il suo bastone. Il cuore mi balzava tra le costole. Tum. Tum. Tum. 

Ogni volta che accendevo un falò, il fuoco mi sorrideva e continuava a contorcersi, a danzare per me e dentro di me. Quella donna ci stava chiedendo di soffocare le fiamme? Non potevo farlo. No, non potevo. 

A piccole dosi, una al mese, vi libererete del potere che gli Dei esercitano su di voi, e smetterete di invecchiare e di correre verso la morte! Sì, avete capito bene: la vostra vita sarà eterna. Effetti collaterali? Nessuno: solo un piccolo indebolimento dei sentimenti, ma questo non farà altro che giovarvi. Non verrete più colpiti da eccessi di emozione e da ansie varie. I dolori e le preoccupazioni non vi faranno più del male. L’equilibrio è benessere. 

Il nonno mi afferrò un braccio: non si era mai comportato così, non era mai stato mosso da quell’energia febbricitante. – Non ascoltarla nemmeno, Ethan. Vorresti mai che il senso di libertà diminuisca, quando suoni il violino? 

Scossi la testa. – Quella è una pazza, una pazza! Perchè non se ne torna da dov’è venuta? 

La mamma si mordicchiava le unghie e si dondolava sulle gambe: non l’avevo mai vista così. Sembrava una bambina. Il papà le stringeva la mano, ma la sua mascella era contratta e i suoi occhi erano accesi come scintille. 

La donna continuò a tenere in aria il boccettino, in modo che catturasse la luce del cielo e splendesse come un piccolo diamante. 

Le fiamme sui tetti delle vostre case diventeranno più deboli, stabili, e la vostra vita sarà eterna e serena. L’antidoto è la chiave di tutto questo, ed è più che sicuro per la vostra salute: è stato sperimentato tantissime volte, anche sul vostro sindaco. 

Lui si fece avanti e aprì le braccia, poi fece un giro su sé stesso. – Non mi vedete? Sto benissimo, anzi, non sono mai stato meglio. Sono la prova vivente che l’antidoto della dottoressa è sicuro. – Indicò il tetto della sua casa. – Il fuoco è minore e stabile, e non scioglie più la cera della mia abitazione.  È stato neutralizzato. 

Era vero: niente più rivoli liquidi lungo le pareti, nessun segno di decadenza… E lui sembrava a posto. 

Certo che stai bene, con i nostri soldi! – urlò una donna. 

Non è affatto vero: ora, grazie alle tasse che avete pagato, potrete ottenere gratis tutti gli antidoti di cui avete bisogno. 

Il nonno trasalì. Le sue braccia iniziarono a tremare di collera. Afferrò il mio braccio, come se fosse uno scoglio a cui aggrapparsi durante una tempesta, e mi trascinò via. Mi lasciai guidare fino a quando non ritrovammo l’ossigeno, lontano dalle fesserie raccontate dal sindaco e dalla dottoressa. 

Quello è un corrotto, uno sporco corrotto. Scommetto che non ha neanche bevuto l’antidoto, e lo hanno pagato per dire così! Altrochè, ci sarà un inganno dietro tutto questo. E comunque, nessuno gli ha dato il diritto di fare questa porcheria con i soldi che gli paghiamo. 

Il nonno spingeva prima avanti il bastone, e poi muoveva passi rapidi e zoppicanti per raggiungerlo, per mantenere il ritmo frenetico che lui stesso si imponeva. Un velo di sudore gli copriva la fronte, e il suo respiro era affannato. 

Nonno, stai calmo. Mi fanno schifo quelle persone, e io me ne frego delle scemenze che dicono. Voglio solo suonare il violino, scappare nelle grotte, nel bosco e… Gli Dei sono tutto il fuoco che c’è qui in giro, vero? Loro mi sorridono. Non mi stanno più così antipatici. Distruggerò tutti quei maledetti bocettini che troverò, te lo prometto. 

Mimai il gesto di gettare qualcosa a terra e calpestarlo, frantumando ancora di più le sue schegge e sbriciolandole ancora e ancora, senza pietà. – Sì, li farò tutti a pezzetti piccoli piccoli, e poi ci salterò sopra. Così! 

Torturai di più il mio antidoto immaginario, perché non riuscivo a smettere. Loro volevano distruggere il nonno, volevano distruggere le mie emozioni, volevano distruggere me, e allora avrei distrutto loro. 

Il nonno mi posò una mano sulla guancia, ma tremava. Una fitta mi scese nel petto. Perché tremava? Era così grave?  

Lascia stare, Ethan. Sei un ometto coraggioso, ma non devi metterti nei guai. 

Non ne parlammo più per molto tempo. Una sera la mamma rimase muta per tutta la cena, mangiò pochissimo e deglutì con fatica ogni boccone. Le sue mani si stringevano e si allentavano, di continuo. 

– Dov’è il papà? Perchè stasera non è ancora tornato? – chiedevamo io e i miei fratellini, a turno. 

Lei deglutiva, ma i suoi occhi luccicavano come gocce di rugiada tormentate dal vento. – Adesso arriva. 

Mentre ci girava le spalle e sistemava i piatti sporchi sul lavandino, mormorava i suoi pensieri irrequieti. Il papà entrò in casa, barcollando, e si lasciò cadere sul divano. Tutti corremmo da lui. – Papà, perchè oggi hai fatto tardi? 

Mi morsi la lingua: aveva un occhio gonfio e tanti segni di punture sulle braccia e sul collo. Erano puntini rossi, circondati da un alone biancastro e poi di nuovo uno strascico rosso. Abbassò le palpebre, sfinito: doveva aver faticato a trascinarsi fino a casa. 

Le tue toppe per aggiustare la tuta da apicoltore hanno ceduto, vero?  

Il papà sospirò, senza rispondere. La mamma si chinò su di lui e studiò le sue punture da vicino. Si alzò di nuovo per prendere il cotone e il disinfettante, ma le sue mani tremavano. – Le api sono pericolose. Adesso basta scuse: devi prendertene una nuova! 

E con quali soldi? – mormorò lui. 

Con quelli che non fai pagare ai tuoi clienti! I prezzi del tuo miele sono troppo bassi, lo sai… 

La mamma stringeva le mani attorno al boccettino di disinfettante, così tanto che le sue nocche erano diventate tutte bianche. Lui scosse il capo. – Ma anche gli altri hanno i nostri problemi economici: tutti li abbiamo e li avremo sempre, finchè il sindaco non la smetterà di alzare le tasse per le sue sciocchezze. Cerca di capire… Conosco tutti da una vita, qui, e non posso alzare il prezzo del cibo. Se vendessi cose inutili avrebbe senso, ma così… 

Vuoi dire che tieni di più agli altri abitanti che alla tua famiglia? Io non guadagno abbastanza perché nessuno vuole più le statue dei suoi cari defunti, perchè nessuno ha abbastanza soldi e prima di tutto pensa a restare in vita, ma tu… Tu lo fai apposta! 

Il papà si passò le mani sul volto. – Non voglio dire questo! – Ma gli occhi della mamma, lucidi e iniettati di sangue, sembravano un rogo. Tirò un lungo sospiro. – Lavorerò di più, davvero, mi impegnerò, e con più miele prenderò più soldi… Te lo prometto. 

Ma non è questo che ti ho chiesto! –  Strizzò la stoffa della sua gonna. – Sei un povero stupido. Non puoi lavorare anche di notte, solo perchè non riesci a capire le tue priorità. 

Trascinai i miei fratellini verso la porta. “Non voglio sentire una parola di più!” Avevo i nervi tesi, il cuore che fremeva, in preda a un terremoto che lo riempiva di crepe. Premetti la maniglia e la porta si aprì, ma emise un rumore secco. La mamma sobbalzò e i suoi occhi vennero attraversati da un lampo: anche il papà si voltò verso di noi. 

Ethan, Grimby, Roan…- allungò un braccio, con le dita protese come per afferrarci. 

La mamma tremò. – Mi ero dimenticata… 

Smettetela. – Lottai per sciogliere il nodo alla gola. – Smettetela di litigare!

Lei si riscosse e corse verso di me, ma le sbattei la porta in faccia. Mi andai a chiudere in camera. A chiave. Avrei fatto entrare solo i miei fratellini, se me l’avessero chiesto. Prima il dibattito era fuori. Prima i problemi erano fuori. Ma adesso si erano infilati anche nella mia casa, pronti ad avvelenare ogni singola molecola di aria che respiravo lì dentro. 

Martina Rocca

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