I testimoni della resistenza pacifica della comunità di San Josè de Apartadò incontrano i ragazzi del Paciolo D’Annunzio 

Nelle scorse settimane, Jose Roviro Lopez e Sayda Yadis Arteaga Guerra, due rappresentanti della Comunità di Pace di San José de Apartadò, hanno girato l’Italia per raccontare la propria storia e quella del loro popolo a chiunque la voglia ascoltare (e magari anche a chi preferirebbe ignorarla!). Hanno incontrato rappresentanti del Ministero per gli Affari Esteri, sono stati ricevuti in vari Comuni e nelle scuole, sempre accompagnati da Silvia De Munari, volontaria di “Operazione Colomba” che abita da sette anni nella loro comunità. 

Venerdì 14 ottobre, si sono ritrovati anche con alcune classi dei licei dell’istituto Paciolo d’Annunzio all’auditorium San Michele, incontro organizzato in collaborazione con Amnesty International e l’associazione Jambo di Fidenza.

Quella di San José è una comunità non violenta, nata a seguito della fuga di alcune famiglie dai massacri da parte delle associazioni militari e paramilitari alla fine degli anni Novanta. Non è un mistero la violenza usata nella guerra civile colombiana iniziata negli anni sessanta, eppure mettono i brividi le storie di persone torturate in quelli che potrebbero essere definiti “orrori medievali”, quelle di ragazzini adescati con la promessa di un lavoro, che invece venivano assassinati e vestiti con la divisa del gruppo avversario affinché i soldati potessero guadagnare più denaro grazie all’uccisione di un maggior numero di nemici. 

Dalle poche famiglie originarie raccolte in sei o più sotto lo stesso tetto, oggi la comunità conta circa trecento persone sparse in villaggi al Nord della Colombia, al confine con Panama, nella zona della foresta pluviale. All’interno delle loro aree è vietato portare armi, bere alcolici, coltivare cocaina; la proprietà è collettiva e il lavoro comunitario.

Gli abitanti sono contadini e contadine: per loro salvaguardare l’ambiente è fondamentale e il loro obiettivo e raggiungere la totale autonomia alimentare. Purtroppo, ci sono stati anni di carestia durante i quali  le famiglie di San José sono state costrette a recarsi in città per  approvvigionarsi di cibo, perciò i militari ne hanno subito approfittato, uccidendo quelli che erano niente più che genitori che volevano solo nutrire i propri figli.

Lo Stato colombiano e i gruppi armati, hanno cercato di eliminare la comunità sin dal 1997, anno della fondazione. Da allora, è stato assassinato più del numero di abitanti che adesso vi risiedono. 

È qui che entra in gioco Operazione Colomba, con le sue straordinarie donne e i suoi straordinari uomini, che accompagnano -letteralmente- dal 2009 le pacifiche famiglie di San Josè de Apartadò. L’attività principale è camminare con loro quando hanno bisogno di uscire dai villaggi. I volontari indossano una maglietta arancione ben visibile ai gruppi paramilitari, che, sapendo della lora presenza, evitano di sparare, così che nessuna voce “affidabile” -quale è considerata quella di chi non è autoctono- possa testimoniare che, effettivamente, lo fanno. Silvia fa notare come la vita di un volontario, come lei, sia importante perché vale e preserva  una vita, quella di chi è nato a San Josè, che per i paramilitari non ha valore. Oltre a questo, i volontari vivono con i membri della comunità nelle stesse loro case di legno, mangiano quello che producono e si occupano di advocacy e di creare reti di sostegno alla comunità nei Paesi Europei. 

“È una vera e propria scelta di vita”, ha detto Silvia ai ragazzi, con gli occhi brillanti di lucido entusiasmo e di  amorevole coraggio, ed ha concluso: “Noi scegliamo di vivere quello che altri sono costretti a vivere”.

Cloe Boasso IV B linguistico